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        1992, Allegoria dell'Occidente - 1994, Che più non son gli dei fuggiti - 1996, In vinum pronus - 2001, Il mito della caverna di Platone2003, Perseide - 2006, La nave dei folli - 2011, La belle dame sans merci - 2018, Inserti di storia dipinta
 MYTHOS1999, Mostra alla Galleria Armanti di Varese
 (per leggere la presentazione in catalogo)
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              |  | La coppa di Teseo -  1999, olio su tela,
      cm. 40 x 50Teseo è l'eroe più celebre dell'Attica. Di sospetta
      origine divina (alcuni sostengono sia figlio di Poseidone) compì imprese memorabili sempre a beneficio delle
      popolazioni che incontrava nel suo peregrinare verso Atene, dove giunse
      dopo aver sconfitto Perifete («l'uomo dalla mazza» con cui funestava i
      viandanti), Pityokamptes («colui che piega i pini», cruenta pratica con
      cui uccideva gli uomini), Domaste (o Procuste «il domatore»,
      che slogava le membra delle sue vittime per adattarle al proprio
      giaciglio). Ma l'impresa più famosa resta
      l'uccisione del Minotauro, divoratore dei fanciulli ateniesi che gli
      venivano inviati quale tributo imposto dal re cretese Minosse. Il
      Minotauro fu ucciso grazie allo stratagemma dell'utilizzo del filo, ad un
      capo del quale stava Arianna, invaghita dell'eroe. Teseo, svolgendolo,
      trovò così la strada del ritorno per uscire dal labirinto che
      custodiva il Minotauro.
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              |  | Le tre Grazie -  1999, olio su tela,
      cm. 150 x 100 Divinità minori, spesso associate ad Afrodite. Sono il simbolo di
      tutto quanto esiste di bello e di gentile nella natura, nei costumi e
      negli uomini. Erano venerate come munifiche donatrici di tutto quanto di
      grazioso e bello possano desiderare gli uomini.
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              |  | La stanza di Ganimede -  1995, olio su tela,
      cm. 100 x 100 Ganimede, figlio del re troiano Troo,
      era un giovane di straordinaria bellezza, scelto da Zeus perché divenisse
      il suo coppiere. Per questo lo fece rapire dalle sue aquile e quindi lo
      rimandò al padre perché Ganimede riferisse l'onore che aveva ricevuto.
      Per ricompensare il genitore gli donò un tralcio di vite d'oro, opera di Efesto, e due cavalli immortali, da cui discesero i
      cavalli reali di Troia.
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              |  | Jo, Adrastea e la capra Amaltea -  1999, olio su tela,
      cm. 120 x 80In una
      delle versioni del mito di Zeus, Jo e Adrastea sono le ninfe che ebbero
      cura del padre degli dei quand'era infante, a loro affidato da Rea, madre
      di Zeus, per sottrarlo alle brame di Crono, suo padre, che divorava i suoi
      figli. Costui si dedicava a questa pratica scellerata per tentare di
      opporsi alla profezia che voleva che uno dei suoi figli l’avrebbe
      spodestato dal trono dell'universo. Le ninfe lo nutrirono con il succo
      (nettare e ambrosia) che scaturiva dalle corna della capra Amaltea. Zeus per
      riconoscenza nei confronti dell'animale, lo mise in cielo a formare la
      costellazione del Capricorno.
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              |  | Il      riposo degli argonauti -  1999, olio su tela,
      cm. 50 x 40 Gli Argonauti erano gli eroi che presero parte con Giasone alla conquista
      del Vello d'Oro nella Colchide, a bordo della nave Argo. Racconto
      antichissimo che veniva celebrato in canti popolari ancora prima di Omero. Gli
      eroi erano 55 tra cui Castore, Polideuce, Orfeo, Teseo, Meleagro, Peleo ed
      Eracle. La nave fu costruita ad Argo con l'ausilio di Atena
      che fornì il legno di quercia, albero sacro a Zeus, che aveva il dono
      della parola.
      Sarebbe troppo lungo qui descrivere l'avventurosa storia della conquista del
      Vello d'Oro, preferendo illustrare invece i fatti della sua
      origine: Atamante, figlio dì Eolo (dio del vento) aveva in moglie Nefele
      («la nuvola»)
      e da lei ebbe due figli: Frisso (Phrixos, «la pioggia che scroscia»)
      ed Elle (Helle, «la viva luce»). Ma in seguito
      abbandonò la moglie divina per sposare la mortale Ino, figlia di Cadmo.
      Nefele, offesa, inviò una tremenda siccità nella regione. Ino cercò di
      indurre Atamante a uccidere i figli di Nefele e offrirli in sacrificio a
      Zeus per ottenere la fine della siccità. Allora Nefele fece dono ai suoi
      figli d'un ariete dal vello d'oro, datole da Ermes, dio dell'astuzia, dei
      commerci e della facondia. In groppa all'ariete Frisso ed Elle fuggirono
      in Colchide.
      Durante il tragitto Elle cadde nel mare (da cui il nome Ellesponto), mentre
      Frisso giunse sano e salvo alla terra dove sacrificò l'ariete a Zeus e
      appese il vello nel bosco di Ares, facendolo custodire da un terribile
      mostro. Riportare quindi in patria il Vello d'Oro era, per
      gli Argonauti, come possedere un potente talismano atto a scacciare ogni sciagura e ogni disgrazia dalla
      propria terra, assicurandole perenne prosperità.
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              |  | Atalanta e Ippomene -  1999, olio su tela,
      cm. 100 x 120 Atalanta è la celebre cacciatrice e, come Artemide, dea
      della caccia, aveva fatto voto di castità. Rifiutata dal padre che
      desiderava un figlio maschio, fu cresciuta da un'orsa e in seguito dai
      pastori che la trovarono abbandonata. La fanciulla mostrò presto
      l’inclinazione per la caccia, tanto da uccidere con l'arco i centauri
      Reco e Ileo che tentavano di possederla. Aveva chiesto di partecipare alla
      spedizione degli Argonauti ma fu rifiutata da Giasone che temeva una presenza
      femminile a bordo della nave Argo. Partecipò con successo alle battute di caccia al cinghiale calidonio e
      sconfisse Peleo nelle gare di lotta. La sua fama convinse il padre a
      riconoscerla ma insistette perché Atalanta prendesse marito. Atalanta
      rispose che avrebbe sposato chi l’avrebbe vinta nella corsa, e chi
      avesse perso avrebbe dovuto essere messo a morte. Molti giovani, attratti
      dalla sua bellezza e quindi sconfitti, ebbero questa
      triste sorte, finché non fu sfidata dal giovane Ippomene, Consigliato da
      Afrodite il giovane Ippomene ricevette dalla dea alcune mele d'oro, con il suggerimento dì lasciarle cadere durante la corsa. La dea assicurò
      che la curiosità e l'avidità femminile avrebbero vinto Atalanta. Così fece Ippomene e durante la corsa Atalanta si fermò tre
      volte a raccogliere quei frutti straordinari, consegnando così Ippomene
      la vittoria e il successo nella corsa alla sua bellezza.
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              |  | Lapita e centauro -  1999, olio su tela,
      cm. 50 x 50 I Centauri, metà uomini e metà cavalli, erano creature selvagge e
      lascive. Furono protagonisti della guerra con i Lapiti, popolo della
      Tessaglia, civilissimo quanto selvaggi erano i centauri. Ritenendo che
      ormai ci fosse tra loro la pace, il re lapita Piritoo li invitò
      alle sue nozze con Deidamia. Ma i Centauri, non avvezzi al vino, si ubriacarono e aggredirono i Lapiti cercando,
      addirittura, di rapire la sposa. Ne nacque una furiosa battaglia in cui moltissimi centauri trovarono la morte.
      Apollo, come descritto nel fregio del tempio di Zeus ad Olimpia, decreta la vittoria dei Lapiti, quasi a significare
      la fine della barbarie e l'inizio della Storia della civiltà.
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              |  | Amore e Psiche -  1999, olio su tela,
      cm. 100 x 100 Sono i
      protagonisti del celeberrimo mito: un re aveva tre figlie tra cui, la
      minore, tanto bella che la popolazione la
      onorava in luogo di Venere. La Dea decise di vendicarsi pregando Eros
      (Amore) di far innamorare Psiche della creatura più brutta che si potesse
      trovare. Ma quando Eros la vide se ne innamorò e non volle obbedire alla dea, chiedendo a Zefiro (il Vento gentile) di sospingerla
      sul monte dove l'avrebbe incontrata, avendo ordinato al padre (tramite un
      oracolo di Apollo) di vestirla per le nozze. Quindi Eros si dichiarò suo
      sposo e le promise una vita colma di felicità se non si fosse lasciata
      tentare dallo scoprire chi egli fosse. Sospinta
      dalla gelosia delle
      sorelle, una notte Psiche
      rischiarò il corpo di Eros, e
      rapita e sedotta dalla sua bellezza, lasciò inavvertitamente cadere una
      goccia dell'olio della lampada con cui illuminava l'amante. Il dio si
      svegliò e, vedendosi scoperto, fuggì. Disperata Psiche lo cercò
      invocando gli dei, Venere compresa, Ia quale la
      sottopose a imprese impossibili che superò grazie all'aiuto
      divino. Alla fine fu ritrovata da Eros che la portò con sé in Olimpo. Venere dimenticò la sua ira e Zeus le regalò il nettare dell'immortalità. Psiche ed Eros ebbero una figlia, Voluttà.
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              |  | La mensa di Ganimede -  1998, olio su tela,
      cm. 120 x 80 Ganimede, figlio del re troiano Troo, era un giovane di straordinaria
      bellezza, tanto da essere ritenuto il più bello tar i fanciulli viventi.
      Per questo motivo suscita l'ammirazione di Zeus che, affascinato dal suo
      aspetto, lo rapisce per adibirlo a servire alla propria mensa in qualità
      di coppiere degli dei.
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              |  | La mensa di Dioniso -  1998, olio su tela, cm. 50 x 40 Dio del vino e dell'estasi. protettore della fertilità, una delle
      più grandi divinità della Grecia tarda. Le sue seguaci, le Menadi, si
      abbandonavano a danze selvagge, in preda ad un furore estatico brandendo
      il tirso, un bastone nodoso sormontato da rami di edera e vite, che
      divenne attributo del dio. Portavano anche torce, serpenti e grappoli
      d'uva.
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              |  | Cloto, Lachesi e Atropo -  1998, olio su tela, cm. 100 x 120 Sono le tre Moire (Morai, «coloro che spartiscono»), figlie della
      Notte, divinità preposte al destino degli uomini. Cloto (Clotho) la
      «filatrice», Lachesi (Lachesi) la «misuratrice» o la «sorte»
      e Atropo (Atropos) «l’inflessibile» o «colei che non si può
      evitare».
 Cloto fila lo stame della vita degli uomini, Lachesi è quanto c’è di
      casuale nella vita di ciascuno e Atropo rappresenta il destino finale della morte d’ogni
      individuo. Secondo alcune rappresentazioni erano ritenute superiori agli dei, che non disponevano quindi neppure
      loro di un potere assoluto sui mortali. Da qui il termine con cui le identificarono i latini di «Fata», con
      tutto il carico di inevitabilità che il termine contiene.
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              |  | Il ratto d'Europa -  1998, olio su tela, cm. 130 x 180 Europa,
    figlia del re fenicio Agenore, soleva giocare in riva al mare con le sue
    ancelle. Zeus se ne invaghì e si accostò a loro mescolandosi agli armenti
    regali, dopo aver assunto l'aspetto d’un toro mansueto. Si lasciò accarezzare dalle fanciulle e quando Europa si adagiò sul suo dorso,
    scattò in piedi e si diresse in mare, rapendola. Si congiunse ad Europa nell’isola di Creta generando tre
    figli: Radamanto, Sarpedone e Minosse. Quest'ultimo divenne il mitico re di Creta.
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              |  | L'educazione d'Achille -  1998, olio su tela, cm. 100 x 120 Achille era figlio della ninfa Teti e di Peleo, re di Ftìa
    in Tessaglia. Zeus e Poseidone desideravano anch’essi un figlio dalla
    bellissima Teti, ma una profezia voleva che il figlio di Teti avrebbe
    superato il padre. Perciò la maritarono
    ad un mortale. La madre tentò in ogni maniera di rendere il figlio
    immortale, ungendolo d’ambrosia
    durante il giorno e cospargendolo di braci ardenti nella notte. Peleo, una
    notte, la sorprese e si spaventò nel vedere il figlio messo nel fuoco. Teti,
    irritata, abbandonò entrambi. Achille fu quindi messo sotto la
    custodia del centauro Chirone, che gli insegnò la corsa facendolo l’uomo
    più veloce della terra (il «piè veloce Achille»). Lo educò
    all’arte della guerra nutrendolo con animali selvatici affinché fosse
    dotato di coraggio straordinario. Gli insegnò la musica e lo iniziò
    anche alla medicina, provvedendo così ad un’educazione fuori del comune,
    degna, appunto, d’un eroe.
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              |  | Leda e il cigno -  1998, olio su tela, cm. 120 x 80 Figlia di
    Testio, re dell’Etolia, sposa Tindareo re di Sparta. Zeus si unisce a lei
    sotto le mentite spoglie d’un cigno. Dall'uovo generato nacquero i
    Dioscuri («figli di Zeus») Castore e Polideuce. Secondo altre
    versioni da un altro uovo nacque Elena, la bellissima moglie di Menelao,
    causa della guerra di Troia.
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              |  | Teti e Poseidone -  1998, olio su tela, cm. 100 x 130 Nella
    teogonia greca il più antico dio delle acque era Oceano che, con Teti (Tethys, una Nereide, «ninfa del mare»), formava la coppia più antica di
    Titani. Non essendosi ribellati a Zeus ebbero in compenso il governo delle
    acque. Amatissima da Poseidone (...e da Zeus) per la sua straordinaria bellezza, il
    dio si rifiutò di congiungersi
    a lei sapendo della profezia che il figlio generato da Teti avrebbe superato
    il padre. Concessa in sposa al
    mortale Peleo, generò Achille, l’eroe della guerra di Troia.
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              |  | La caduta dei Giganti -  1999, olio su tela, cm. 150 x 150 I Giganti (da Gegeneis, «nati dalla terra»): esseri altissimi e
    terribili, nacquero da Gea (la terra) quando il sangue di Urano, castrato da
    Crono, la fecondò. Gea, offesa da Zeus, li convinse a muovere guerra agli
    dei, dando
    luogo alla celebre Gigantomachia.
 Poiché i Giganti non potevano essere uccisi dagli dei, Zeus sapeva di dover
    affidare questo compito ad un mortale. L’eroe designato fu Eracle. Gea
    allora generò un'erba che avrebbe reso immortali i
    giganti anche se colpiti da un mortale, ma Zeus proibì
    al Sole, alla Luna e all'Alba di apparire finché non si fosse impadronito di
    quell'erba.
 La battaglia si svolse in Tracia e
    vi parteciparono, oltre a Zeus ed Eracle, anche altri dei: Apollo che colpì il gigante Efialte; Poseidone che sconfisse il gigante
    Plidote; Ermete che uccise Ippolito utilizzando il suo elmo che lo rendeva invisibile; Artemide che colpì il gigante Grazione; Dioniso che colpì col tirso il gigante
    Eurito; le Moire che eliminarono i giganti Agno e Toante con clave di bronzo e
    Atena che fece precipitare in mare il gigante
    Encelado, schiacciandogli sopra la testa l’isola della Sicilia, tanto che
    il suo respiro infuocato ancora oggi fuoriesce dall'Etna.
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              |  |  |  
              |  | Protesilao e Laodamia - 1999, olio su tela, cm. 100 x120 |  torna all'elenco delle mostre a tema |